Giulio Volpe

The circulation of Art in the eyes of Law

L’opinione su tutela e mercato di uno degli avvocati italiani più esperti nel settore di circolazione e tutela dell’arte, da oltre vent’anni consulente di antiquari, galleristi, collezionisti e soggetti istituzionali. he opinion on the protection and market of one of italy’s most experienced lawyers in the field of circulation and art protection, for over twenty years consultantantique dealers, gallery owners, collectors and institutional subjects by Giulio Volpe L’Italia siamo noi. E sembra che la Storia italiana, come Goethe e Quatremére de Quincy fra tanti altri avevano declamato, abbia davvero una “prerogativa” invidiabile e riconosciuta dai partners europei e in fondo dal mondo intero: quella di essere un formidabile concentrato di arte e paesaggio.A dispetto di questo, però, si è forse male interpretato dal nostro sistema politico-culturale il ruolo del Paese nella comunità europea e internazionale, tanto sul fronte della tutela e circolazione del patrimonio già esistente, quanto su quello della nuova produzione artistica.Alcuni osservatori del bizzarro e multiforme mondo dell’arte hanno ipotizzato che abbiamo forse perso molto del tempo più recente (diciamo un cinquantennio?) a inseguire modelli sbagliati o derive frammentarie e spaesanti, a scimmiottare un illusorio “asse Londra-New York” o simili, senza accorgerci o dimenticando che la sorgente prima della creatività artistica sta sotto i nostri piedi e nelle nostre mani.Da dove riprendere il sentiero perduto? Forse in un nuovo “Belpaese” dove la burocrazia e i suoi tempi facciano meno paura, dove le leggi non siano punitive o soffocanti, dove non si confondano gli operatori del sistema dell’arte -come ho scritto di recente anche sul Sole 24 Ore- con immaginari pirati o contrabbandieri, partoriti troppe volte da una sbrigativa cultura del sospetto o da ideologie preconcette.Qualche furbo c’è sempre stato e sempre ci sarà, ma fare di tutta l’erba un fascio è fuorviante e pericoloso per la sopravvivenza di una favolosa specie: quella di antiquari e galleristi, linfa vitale del sistema delle arti in Italia.Non si dimentichi mai ciò che il loro mestiere, la loro esperienza, il loro coraggio, la loro capacità di stimolare e incrementare il collezionismo, di favorire o promuovere restauri, hanno dato a questo stesso Paese e alla storia dell’arte mondiale.Non si dimentichi che lì va in scena il teatro dell’attribuzionismo, la ricomposizione di “contesti culturali” (argomento principe nell’avventura della tutela), il confronto vivo e stimolante, anche per le generazioni a venire, tra storici dell’arte e critici d’ogni provenienza.L’emorragia occulta delle opere d’arte prolifera invece proprio dove gli operatori di mercato di navigata esperienza vengano ostacolati o pericolosamente minacciati rispetto alla stessa possibilità di lavorare.Essi favoriscono semmai, giova ripeterlo, la circolazione dell’arte per canali riconosciuti e spesso prestigiosi, alla luce del sole e nel rispetto delle regole, fatta salva una quota di trasgressioni che, come nell’universo mondo ed in qualsiasi mercato, saranno -se del caso e proporzionalmente- sanzionate.Vediamo ora quali siano le regole della tutela.L’origine straordinaria e di rilievo universale di questo complesso di regole, che passano dai provvedimenti preunitari per la tutela sempre ricordati da Andrea Emiliani, da funzionari “tecnici” quali Carlo Fea, Antonio Canova o il Winckelmann, ma già molto tempo prima Raffaello, con la sua mirabile lettera a papa Leone X, nei mesi scorsi in mostra alle Scuderie del Quirinale, è anch’essa eminentemente italiana.Sono regole, quelle degli Stati preunitari, che nell’Italia unita saranno tenute sagacemente in vita, integrate nella legge Rosadi del 1909, passate attraverso la legge Bottai e la Costituzione, poi attraverso le riflessioni evolutive della Commissione Franceschini che ci traghettava dalla concezione estetizzante delle “cose di interesse artistico e storico” fino a quella antropologica dei “beni culturali” negli anni sessanta del ‘900, fino a potere oggi serenamente confrontarsi, e qui viene il punto, con le Convenzioni internazionali e i provvedimenti europei.In Europa, pur riconoscendosi come storicamente esemplare il meritevole modello italiano per la tutela dei beni culturali, si è adottata una strada diversa.Fino a tutto l’Ottocento, l’Italia era stata davvero scandagliata da mercanti d’arte senza molti scrupoli, intere collezioni o loro nuclei significativi venivano esportati più o meno illecitamente e l’organizzazione amministrativa, seppure bellissima sulla carta, era operativamente spesso impotente.Oggi però i tempi sono diversi. Non possiamo mummificarci su posizioni di tutela ad oltranza, quando i presupposti di fatto sono ormai totalmente mutati.I musei sono perfettamente organizzati, con servizi aggiuntivi e “super-direttori” iper connessi con le altre istituzioni culturali e con gli uffici ministeriali, mentre i magazzini debordano di opere, spesso invisibili ai più. La disciplina giuridica del Codice dei beni culturali e del paesaggio contiene istituti volti a consentire allo Stato di sostituirsi all’acquirente privato (prelazione) o di intervenire nel procedimento di uscita dal territorio nazionale (acquisto coattivo all’esportazione), fatta salva la possibilità per l’esportatore di rinuncia all’uscita dell’opera.Ricorrendo a questi strumenti – e senza qui considerare che sul secondo aleggia un dubbio di costituzionalità – quando davvero l’opera in questione si ritenga di interesse irrinunciabile per il patrimonio storico e artistico della nazione e per il “contesto storico culturale” di riferimento, lo Stato può farla propria versandone il prezzo “congruo”.Anche in altri Paesi europei questo si verifica, riservando un termine (di pochi mesi) per reperire i fondi; ma nel resto d’Europa, in linea di massima, se lo Stato non lo compra, il bene deve essere lasciato andare oltre confine.Inoltre, nel resto d’Europa la verifica sulle opere avviene senza troppi indugi, mentre in Italia, Repubblica fondata sulla burocrazia, anche le tazzine da caffè e le cravatte del nonno, o innumerevoli “croste” di scarsissimo valore, dovevano essere (fino a ieri) fisicamente esaminate da apposita Commissione dell’Ufficio Esportazione presso una Soprintendenza, generando inesorabilmente un sovraccarico di lavoro che si traduce in trascuratezza su ciò che davvero meriterebbe la preziosa ed encomiabile (sia chiaro) attenzione dei funzionari delle Belle Arti.Alle Commissioni degli Uffici Esportazione va ad un tempo il nostro plauso, per la sopportazione di un tale spropositato carico di pratiche a fronte di risorse irrisorie per finanze e personale.Per concludere:facciamo sì che la pandemia rechi all’Italia il coraggio di risorgere e di cambiare, rinnegando la burocrazia (e non soltanto in questo settore), sbloccando una riforma della disciplina della circolazione delle opere

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